giovedì 30 gennaio 2014

Ma lo sa che noi attraverso le cessioni di Falchetti e Mengoni riusciamo ad avere la metà di Giordano? Da girare all'Udinese per un quarto di Zico e tre quarti di Edinho. (cit.)


Le sedi Fiat vanno in Europa.
Usciranno al primo turno.


Maxi Lopez alla Sampdoria: "Mi ispiro a Icardi"


Spunta video inedito di Maradona in cui fa il 730.


L'agente di Guarin: "Fredy soffre".
S'offre.


Inzaghi rifiuta Sassuolo.
Fa male tuffarsi sulla ceramica.


Compleanni: Buffon spegne 36 schedine.


Peggiorano le condizioni di Guarin.
Nella notte sussurrava ossessivamente: "Nocerina...Nocerina...Nocerina..."


Palermo-Modena 0-0. Giovanardi: "Colpa delle nutrie".

                                                         

martedì 28 gennaio 2014

Non c'è tensione, non c'è emozione: nessun dolore

Then take me disappearing
through the smoke rings of my mind
down the foggy ruins of time
far past the frozen leaves
the haunted frightened trees
out to the windy beach
far from the twisted reach
of crazy sorrow
(Bob Dylan)*



A volte mi rendo conto di come il calcio raffiguri, suo malgrado, una sorta di lancetta artificiale che scandisce il flusso temporale.
Ricordo molti anni fa mia cugina, coetanea di Bergomi, insultare il televisore quale metonimica incarnazione del telecronista, reo, all'ingresso dello Zio, di aver esclamato festante “Ecco il vecchio Bergomi”.
“Vecchio lo dici a tuo nonno, supergiovane dei miei stivali”.
In seguito avrei compreso come l'avvicendamento dei calciatori, delle “Giovani promesse” tramutate in “Usato sicuro”, si sarebbe affiancato alla percezione della mia stessa crescita.
Lungo gli avvallamenti della memoria i vari momenti della mia vita si congiungono a molteplici Inter: quella di Pellegrini è la mia infanzia, fiduciosa ed entusiasta, quella di Ronaldo i miei vent'anni colmi di promesse, quella di Mancini e di Mourinho il concludersi della giovinezza e l'approdo alla maturità.
Ho l'età per ricordarmi altre Inter, meno epiche di quelle appena nominate.
L'Inter dei fratelli Paganin e di Angelo Orlando, di Tramezzani e di Giovanni Bia, celebre per l'omonimia con la streghetta e la relativa sigla (BiEaaah – BiEEEE – BaBe, ecc. ecc.)
Oppure l'Inter del Centofanti idolo della Curva Nord e di Benny Carbone.
Squadre pasticcione e inadeguate impreziosite da inaspettati squarci di perizia, quali le feline parate di Pagliuca o le discese (ardite e le risalite) lungo la fascia di Roberto Carlos.
Inter sghembe e traboccanti di difetti, eppure emozionanti, nel bene e, purtroppo, nel male.


Ieri, osservando un'Inter arrancante con un Catania volonteroso e mediocre, ho sperimentato nel profondo il significato del temine “Atarassia”.
Se, da un punto di vista filosofico, “la perfetta pace dell’anima che nasce dalla liberazione delle passioni” può evocare uno stato di quieto benessere, dal punto di vista di una tifosa impegnata a seguire le gesta della sua squadra del cuore il concetto pone interrogativi critici nei riguardi della squadra stessa.
Una sparuta accozzaglia di pellegrini si aggirava per il campo, simile a un gruppetto di amici adunatisi per la partitella del giovedì. Zelanti, ma drammaticamente maldestri, senza passione, parevano ologrammi di giocatori: simulacri perfetti, ma freddi e vuoti.
Mai come in quel momento il Triplete mi è apparso distante come la scheggia di un satellite disperso nell'Universo.
Davanti a una squadra esanime è difficile appassionarsi e non si può chiedere ai tifosi di praticare un massaggio cardiaco a chi coscientemente pare aver deciso di smettere di respirare.
Per una di quelle bizzarre associazioni mentali mi sono scoperta a ripensare a una scena de “La Storia Infinita”.
Il film non necessita alcuna presentazione, soprattutto per chi, come me, ha più di trent'anni e magari lo vide al cinema.
Il Doc, interista di vecchia data, mesi fa scrisse un notevole post al riguardo (http://docmanhattan.blogspot.it/2013/07/la-storia-infinita-film-1984.html).
Il Nulla vorace che annienta paesaggi, persone e oggetti trasmutandoli e inglobandoli in niente, la Fantasia e la forza dell'Uno come resistenza e salvezza di tutti, “il mondo salvato dai ragazzini” fino all'ambiguo finale (Bastian, se per tutto il film hai ripetuto quanto ti manchi la mamma, perchè, una volta esortato ad esprimere un desiderio – QUALUNQUE desiderio –, tu chiedi semplicemente di effettuare un giro sul Fortunadrago?).
Era un'epoca in cui ai bambini venivano presentati temi e discorsi da adulti. Quegli stessi bambini, una volta cresciuti, sarebbero stati trattati da eterni infanti da una classe politica e imprenditoriale luttuosa e retriva.
Ma questa è un'altra storia (cit.)

Il momento della pellicola su cui mi sono soffermata è stato però l'approdo di Atreyu, l'eroe bambino, nelle paludi della Tristezza, così chiamate perchè la condizione primaria per poterle attraversare è il non abbandonarsi mai alla malinconia e alla disperazione.
Sentimenti che colgono invece Artax, il suo cavallo, il quale sarà mestamente condannato a sprofondare nelle sabbie mobili nonostante le esortazioni di un inerme Atreyu.
Alla figura di Artax si è bruscamente sovrapposta davanti ai miei occhi l'immagine dell'Inter di domenica. Angosciata, avvilita e annaspante dentro un guado in cui non si scorgono appigli.
Mentre noi tifosi non possiamo far altro che fissarla inebetiti, impossibilitati a fornirle soccorso.
Una volta lessi che l'unica modalità per uscire indenni dalle sabbie mobili sia il fingere di ritrovarsi sopra a una scala e salirla un gradino alla volta, evitando, per quanto possibile, di farsi invadere dal terrore.


Forse questa è l'unica via per “Uscire a riveder le stelle”.
Un gradino alla volta, consapevoli che a ogni caduta corrisponde una risalita, concentrandosi sull'unica cosa inottenibile con gli euro e il calciomercato, ma che per i tifosi rappresenta il bene più prezioso: il cuore.
Ricominciate a pompare palpitazioni in questa squadra inerte e anche noi tifosi recupereremo la passione.
Magari si tratterà di un'Inter arruffona e grossolana, ma sarà la “Nostra” Inter.
Quella che non scambieremmo per nessun'altra squadra al mondo, perchè solo Lei “Ci fa battere il cuore, ci fa smettere di respirare”.


* Quindi portami a scomparire / lungo gli anelli di fumo della mia mente
giù per le rovine nebbiose del tempo / lontano oltre le foglie gelate
gli stregati alberi spaventati / fuori sulla spiaggia ventosa
lontano dalla portata contorta / di un folle dolore

lunedì 27 gennaio 2014

Árpád Weisz - quando il calcio è anche storia.



Nel "giorno della memoria", uno straordinario racconto di Federico Buffa, QUI  , dove ci racconta le vita e le gesta e la sofferenza, in quella tristissima pagina di storia dell'umanità, di un grandissimo del calcio: Árpád Weisz.


- Mai più -

domenica 26 gennaio 2014

Lezioni di tifo? No, grazie.

Sono Interista, lo sono da sempre, sono fiera di esserlo e proprio perché sono così innamorata di quei due colori so quanto cuore possiamo dare noi tifosi all'Inter.
Siamo i migliori e lo saremo sempre anche quando scleriamo dopo mesi così, ma noi siamo e saremo sempre i migliori perché ogni domenica ci speriamo e non molliamo un cazzo.
Più ci incazziamo più vorremmo tatuarci addosso quella maglia. Quanta sofferenza riviviamo ogni volta che mettiamo piede a San Siro e quanti ricordi meravigliosi.
Sono anni che inciampiamo che aspettiamo che cerchiamo di raccontarci che passerà, anni che mangiamo più amaro di quanto meritiamo: eppure siamo presenti.

E’ un cuore solo che batte per mille e mille tifosi, ma che ne è del cuore in campo? Dove sono gli occhi pieni d’amore per questa squadra, la "Garra", la voglia di buttarla dentro ad ogni costo contro ogni modulo e ogni statistica. Manca calore? Io credo manchi amore, amore vero, quello che non molli un cazzo quando entri in campo, che dai tutto quello che hai, esci sfinito perché sai che intorno a te non ci sono dei tifosi qualunque; si siamo tifosi rompicoglioni, ma lo siamo perché per noi non è solo una squadra: è amore, è fede, è passione.
E potremmo perdonare tutto, ogni scelta ogni errore se vedessimo un cuore battere su quel manto verde. Ma non c’è. Non è pervenuto, da troppo tempo manca e ogni dannata domenica si spera che si riprenda, si spera che una scossa abbia riportato in vita quell’armonia perfetta tra loro e noi, tra prato e spalti, noi non siamo facili ma solo chi non conosce il nostro mondo può dire che manca calore.
Siamo stanchi, molto. Siamo persi, parecchio, ma solo perché non c’è nessuno che lotta per la sola cosa che vogliamo: essere orgogliosi.

Tifare Inter vuol dire onore, vuol dire uscire da San Siro fieri, sapendo che abbiamo fatto tutto quello che potevamo, non importano i nomi di chi è in campo o di chi ci guida. Importa che bisogna ricominciare a giocare per quella maglia che dovrebbe essere una seconda pelle, quella maglia che dovrebbe essere come il manto di un supereroe perché quando la indossi devi dare il 101% e anche di più. Una maglia per cui vale la pena lottare, in campo e continuare a tifare, attorno ad esso.
Noi ci siamo. Ci saremo sempre. Cadremo ci rialzeremo ma il nostro è un coro che non mancherà mai soprattutto quando la squadra tentenna, più ci incazziamo più sosteniamo. Quando entriamo nel nostro stadio non pensiamo agli errori di mercato, ai giocatori venduti e ritrovati, non pensiamo alla società o a chi tenta di rovinarla, pensiamo soltanto che il giorno giusto per ricominciare a pedalare. E sei li per quei 90 e più minuti, a guardare quella porta a guardare quel pallone e sperare in quei tre punti.
La serenità manca, ma se potessimo parlare, ad uno a uno, con le persone che erano lì anche oggi a tifare, vedresti nei loro occhi quanto amore c’è.
A noi che siamo innamorati non veniteci a raccontare come tifare, quando fischiare. Noi che siamo innamorati saremo sempre i primi a soffrire e gli ultimi a mollare. Finchè ci saremo noi l’Inter non camminerà mai sola.

Il calore, la serenità, l’amore manca a chi prima di ogni match dovrebbe guardarsi vicino al cuore e vedere lo stemma che batte proprio li sopra: Fc Internazionale Milano.
Chi ci conosce ci ama. Chi ci ringrazia sa quanto amiamo i nostri colori. Chi non parla di noi, è uno di noi perché sa quanto soffriamo. Chi osa dire che non siamo abbastanza forse dovrebbe sedersi fra di noi e chiederci: qual è la cosa più bella dell’essere Interisti? perchè siete cosi?
E la risposta sarebbe semplice: il cuore che batte, il rischio di infarto continuo, l’incazzatura per un errore dei nostri e l'incitarlo subito dopo, l’urlo e la tachicardia a ogni goal.

Ci manca calore? No, rivogliamo la nostra, Pazza, Inter.


"Katia_1988"





venerdì 24 gennaio 2014

Per fortuna o purtroppo Erick Thohir non è italiano

Il significato di costante è: elemento caratteristico, ricorrente e immutabile nell'attività, nel pensiero, nel comportamento di una persona, di una società, di un movimento culturale. (Hoepli)

Ecco, alla costante condotta di certi personaggi e di certe società, dovremmo esserci abituati, ma non è facile.
Non è facile, se non impossibile, abituarsi alla tracotanza, alla prevaricazione, alla slealtà, alla prepotenza, all'insulto, alle minacce, all'ipocrisia... di tali.

La costante ricerca del pretesto per uscire da situazioni, marce, da loro stessi create.
Nello sport, come nelle attività imprenditoriali, il loro attegiamento è sempre lo stesso.

E allora se non hanno trattamenti di favore, ad ogni livello ed alle loro condizioni, loro aggrediscono: minacciano chiusure di stabilimenti, spostamenti di investimenti, minacciano richieste danni, fanno partire ricorsi assurdi, denuncie infondate o comunicati insensati che grazie ad una stampa asservita diventano verità assolute... Nel caso sportivo da dare in pasto alla famelica lobotomizzazione di chi li segue, per sentirsi sempre dalla parte vincente.

Con questi metodi puntano, da sempre, ad ottenere: finanziamenti di Stato, grandi agevolazioni in tutti gli ambiti, contratti lavorativi difformi, trattative vessatorie, l'eclissare di comportamenti scorretti.
E puntualmente ottengono tutto: dai finanzimenti fino alla ridicola questione del terreno stadio passando per un revisionismo totale del più grande scandalo sportivo italiano da loro generato.

E' talmente radicato questo modo di agire, che sono alla continua ricerca di esponenti che lo garantiscano, che lo esaltino, che non abbiano nessun ritegno ad eseguire qualunque gesto pur di tutelarlo.

Non hanno limiti, se non quello di raggiungere uno scopo prefissato, in qualunqe modo. Serve essere scorretti? Nessun problema.
Di essere su un punto di forza con qualunque sistema. Serve inventare imposture ed essere ipocriti? Nessun problema.

Ed avanti cosi... come bulldozer, ma con meno dignità.

Non c'è bisogno che elenchi la sequenza di fraudolenze di cui si sono macchiati.
E' storia passata, sia remota che molto recente. Non c'è bisogno che elenchi quale ragnatela di loro interessi avvolge tutta la struttura, tanto politica quanto sportiva, di questo Paese.

Spostando l'oggetto del post al solo merito sportivo, ecco che nuovamente questo comportamento torna alla ribalta in questi giorni.

Si instaura una trattativa di mercato che però viene bruscamente interrotta perchè una delle due parti non è più convinta della bontà della stessa.
Non importa il motivo, quello che importa è che una delle due parti, prima di accettare formalmente, dice no, mi dispiace, ma non mi interessa più. Nel pieno diritto di farlo, nella assoluta facoltà di deciderlo.

Questo, però, fa infuriare i soggettoni, totalmente disabituati ad un NO, che immediatamente si pongono dalla parte degli "sconcertati" e fanno trapelare che minacceranno di svelare i dettagli della cosa se non si ripristina e fanno sapere che uscirà un comunicato, che poi diventa una conferenza stampa, caricata come se fosse l'annunciazione della apocalisse. Vengono fatte rimbalzare sui quotidiani parole come: scorrettezza, mancanza di serietà, codarderia... ecc ecc.

(Invece per loro questo modo di atteggiarsi è sintomo di serietà.)

E poi è il momento della agognata conferenza, la madre di tutte le conferenze, in cui un loro dirigente si presenta parlando di: un sms, consensi verbali tra lui ed un dirigente della controparte (che lo sia davvero è tutto da dimostrare), armadietti vuoti, visite mediche.

Tutte banalità dette in modalità superbia ON, come se si stesse parlando dalla posizione di uno che ha un contratto in mano firmato in tutte le sue parti.
Ed invece scopriamo che in mano hanno solo un bel pugno di mosche, un sms (forse) e che non hanno mai parlato con chi doveva decidere.

Insomma: 15 minuti per spiegare come: un Signore abbia tutelato i suoi interessi, mandandogli in vacca l'affare (a perdere) sancito tra due dg che probabilmente lavorano per la stessa società.

La madre di tutte le conferenze era solo una gravidanza isterica.

La sublimazione del tutto in due frasi:
'Nel corso della sua lunga e gloriosa storia, l'Inter si è sempre distinta per integrità e lealtà, questa è la nostra missione: sostenere e continuare tale tradizione."
"Durante il mese di Gennaio, l'Inter ha preso parte a numerosi confronti privati volti a rafforzare il Nostro Club, dentro e fuori dal campo. Queste discussioni che si svolgono in ambito professionale dovrebbero rimanere private"
(Erick Thohir)

La mancanza di serietà mettila nel c..o (quasi cit.)

La lealtà è una cosa per pochi.

Amala, Ubicumque et semper.

- Charms -





giovedì 23 gennaio 2014

Mirko ha bisogno d’aiuto

Mirko entra nello spogliatoio. La luce fioca dal corridoio illumina uno spicchio di pavimento. Il buio tutt’attorno lascia appena passare un piccolo raggio che si riflette sul suo viso. Una piccola stella … la terza … sul campo …. Come una volta … brilla sulla membrana di una lacrima che, maledetta, scivola sulla gota irsuta. Una sola lacrima, ma pesante come il peso che Mirko si porta dentro. Il silenzio della sua anima si confonde con quello di Vinovo. Un mondo di silenzio e di solitudine. La solitudine dell’ala destra, se vuoi, ma sempre solitudine.



Lento cammina verso il suo armadietto. Quello che ha accolto i suoi sogni di bambino “da sempre juventino” ed ora lì, immobile ad attendere come un Cristiano nell’Arena che lui, leone, lo sbrani, lo dilani, lo riempia di nuovo.

Mirko non sta bene. La prima lacrima è stata pioniera di una carovana che ora sopraggiunge come una marea. Mirko non capisce, non è abituato, lui, a certe cose. Non capisce perché non lo vogliono più là dove persino uno più brutto di lui, Pandev, venne accolto come un messia. No, per lui là non c’è posto. 

Il Montenegro era il suo posto, ma ora anche lì non lo vuole più nessuno. Da nessuna parte nessuno lo vuole. Perchè? Perché lui, che con abnegazione ha sempre giocato le sue oneste 20/25 partite l’anno tra precampionato e Coppa “Lido Tropical” di fine giugno, così povero ed indifeso?

Calpesta la sua ombra mentre si avvicina al suo armadietto con la sua borsa in mano e il dolore sul cuore. Per questo sposta i piedi un po' a lato, per non calpestare più quel suo cuoricino sensibile. 
Si ferma a pochi centimetri dal totem. Prende la chiave. Sta per aprire. Improvvisamente una mano sulla spalla. Si gira. Marotta. Il DG gli sorride come un padre: 
“Mirko, devi essere forte. Ti toccherà guardare dalla tribuna Giovinco che scappa tra le gambe dei difensori avversari. Ma sarà ancora per poco …” 
“Ma DG, … ma perché io? E perché Giovinco?” 
“Mirko, piantala! Guardami negli occhi e ascolta: a fine stagione ti mandiamo al Bournemouth. Lì ti troverai bene. C’è anche il mare vicino e la casa di riposo all’Alderney Hospital”.


Mirko ha capito. Senza dire una parola apre l'armadietto. Dalla borsa tira fuori la sua roba: l'accappatoio, la PSP2, le foto del 5 maggio 2010, il pass dell'Hollywood, la maglietta a strisce nere e bianche ... trattiene un conato a stento ... Mirko non sta bene. Mirko tira sul col naso e piange. Piange e tira sul col naso. Tira … col naso … e piange, mentre il DG si toglie la maschera e appare nelle vere sembianze di Fassone.



Mirko non sta bene. 
Mirko ha bisogno d’aiuto.

K.

Vuoti gli armadietti, pieni i calici!



Vuoti incolmabili: Storie fatte di solitudini, di addii, illusioni, arredo metallico e ... dimenticanze.

mercoledì 22 gennaio 2014

Il Comunigobbo

Comunicato ufficiale F.C. Ju*****s:

La società F.C. Ju*****s, nella persona del presidente Agnelli e di chi ha condotto la trattativa oggetto del presente comunicato, ovvero Giuseppe detto Beppe Marotta, esprime tutto il suo sconcerto e la sua meraviglia di fronte all'increscioso epilogo della trattativa che avrebbe dovuto, come nelle intenzioni della vigilia, portare allo scambio di giocatori Vucinic-Guarin con l'F.C. Internazionale.
La società F.C. Ju*****s, vista la gravità dei fatti, ha deciso di adire alle vie legali, affidandosi all'avvocato Felice Algabbio nell'intentare causa contro l'F.C. Internazionale per i seguenti reati:

- "falsa conclusione apparente della trattativa" : la trattativa è stata bruscamente interrotta dal presidente Thohir a visite mediche del giocatore Freddy Guarin ultimate, venendo meno quindi al principio di buona fede secondo cui ogni giocatore che entra nelle sedi bianconere a sostenere delle visite mediche è da considerare effettivamente tesserato, quindi, per lo stesso principio, il giocatore Guarin è da considerarsi a tutti gli effetti a disposizione di Antonio Conte previa convocazione dello stesso per la trasferta contro la Lazio;


- "stranierità dell'interlocutore" : la trattativa è stata interrotta da un legale rappresentante della controparte che, in quel momento, si trovava all'estero, nel suo quartier generale di Jakartone (ahahah....scusate,poi cancello) con la quale non è stato possibile instaurare un confronto ed un dialogo causa incapacità di quest ultimo nel parlare italiano, venendo quindi meno al principio per il quale gli interlocutori della società
Ju*****s devono parlare un italiano fluente, pena la nullità di qualsiasi intervento successivo. N.B. : Lapo Elkann non fa testo riguardo l'italiano fluente, nel suo caso conta la profondità dell'uomo;

- "deficit psicofisico dell'interlocutore gabbato" : la trattativa, interrompendosi in codesto modo, ha provocato segni inequivocabili e tangibili nei confronti dei dirigenti bianconeri coinvolti nella trattativa, in particolare si segnala l'amplificazione del difetto comunemente chiamato "vista diversamente periferica" che ha colpito Giuseppe detto Beppe Marotta, mentre per ciò che concerne il presidente Agnelli si segnala la sindrome "monociglius licantropus" unita alla sindrome da "espressione emo catatonico". Detto patologie, chiaramente causate dall'andamento della trattativa, porteranno la società ad adire alle vie legali;


- "circonvenzione di gobbo" : la trattativa, interrompendosi in codesto modo, ha provocato pregiudizio e sconcerto in tutto il mondo juventino, tifoseria compresa. In attesa che si faccia luce su calciopoli (38 sul campo), la società chiederà i danni d'immagine, non per un motivo preciso, ma perchè con noi non si fa e basta, tocco blu e non gioco più.






- Theboss81 -

SIAMO SCONCERTATI.


Tassotti: "Seedorf lavora anche di notte".
Lo sappiamo.

Vidal: "Nel mio ruolo sono il migliore al mondo".
Solo perchè Pablo Escobar è morto.

Turchia: condannato a 6 anni di carcere il presidente del Fenerbahce, Yildirim.
"E' una congiura contro papà" ha detto il figlio Pier Yildirim.

E' uscito il libro di Mazzarri:
- il book col lamento intorno.
- ha dato la colpa all'editore
- 250 pagine ma ne ha chieste altre 5 di recupero.

Coppa Italia, Roma-Juve 1-0. Conte rispetto al campionato cambia la formazione per sette dodicesimi.

Scambio Guarin-Vucinic: Thohir blocca tutto e dall'Indonesia manda un messaggio alla Juve: "ഹൌത തഡദീ ഗാജ, മസ ജഹനനീ ഗ്രബ ദഡ culo."






Penso che tiferò Roma

Si, si ... non raccontiamocela. Abbiamo tutti paura di essere lì lì per tornare ai tempi d'oro di Orrico, Ottavio Bianchi e compagnia cantante. Quello che vediamo agita in noi fantasmi che pensavamo di aver definitivamente sconfitto. Ma la meravigliosa e paradossale pantomima "Vucinic - Guarin" ci ha fatto persino superare in notorietà il ritorno della squadra dell'Ammore ... che pare già miracolata dall'avvento del messia del calcio futuro. E invece no. Con orgoglio gliel'abbiamo messa nel culo. "E tu fottilo l'orgoglio" ... questa era la vocina di Branca mentre con il fido Ausilio assaliva il fortino maleodorante alla conquista di Vucinic con l'idea di passargli il Guaro e togliersi così dai maroni uno che con le brasiliane rischia di avere più successo. 
Così, ormai stagionato lavoratore del computer, questa mattina, mentre lavoravo, stavo tenendo d'occhio i giornali per capire come sarebbe andata a finire, quando dentro di me si sono palesate le mie due anime da interista. Il più bieco e contrapposto caso di schizofrenia nella storia del tifo mondiale: il Buon Rassegnato e il Veleno del Cobra. Il primo, ammansito da decenni di sconfitte e figuracce. Capace solo di sciogliere in un pianto, nella notte di Madrid, tutta questa sofferenza . Quello che "la società sa quello che fa". Non s'incazza mai. Sempre pacato e razionale. Il secondo: conduce da anni una relazione incestuosa col principio d'infarto. Quello che durante la finale è stato capace di urlare "Chivu, porcadiunaluridaschifosa!, ma quando te ne andrai fuori dai coglioni!" e solo per aver spedito una palla in fallo laterale. Quello che "la società non sa nemmeno come cazzo ha fatto a fare il Triplete". Insomma, quello che si vince 0-7 (e non è un caso che citi il Shsshuoloa) e pensa "adesso collassano tutti e ce ne fanno 8". Ecco, i due hanno cominciato a disquisire sul Guaro più o meno in questo modo: 
"Certo, il Guaro è uno che se è in giornata spacca gli avversari". 
"Si ma quando cazzo è in giornata?" 
"Si va beh, però c'ha 'na mina che piega le mani ai portieri". 
"Si, quando non ammazza quelli al terzo anello". 
"Eh, che rompicoglioni che sei! Ammetterai almeno che è uno che filtra a centrocampo ed è giovane, in linea con i dettami dell'omino del katai"
"Si, buono quello. Che cazzo pensa di fare, vendere tutti e farci fare la fine del Torino? Voglio dire: ha comprato l'INTER, mica il Cittadella! E poi ripeto: come riesce a farmi incazzare il Guaro quando prende palla nella sua area e, con la squadra che si catafotte in attacco [ma WM, porcatroia, ma non glielo riesci a spiegare che non si può andare sempre e costantemente tutti in avanti che poi ci infilano di tutto "nel de drio"? Ma sei coglione? ndr], .... dicevo, ... prende palla nella sua area e la perde regolarmente appena passata la metà campo, così gli altri trovano i campi di primule fiorite per andare a farci il solito gol della minkia!"


E io? Io ascoltavo la conversazione quasi incredulo. Però poi mi sono trovato, mio malgrado, sia chiaro, a dare ragione a Veleno. Perchè io già lo so: per un'inesplicabile legge della natura, il Guaro appartiene a quella lunga processione di "fenomeni" che arrivano da noi e "deludono", oggi sono in buona, poi però vanno da un'altra parte e spaccano il culo ai passeri. Qualche esempio? Pirlo sopra tutti, ma vi ricordate Mikael Silvestre? E si potrebbe andare avanti ore. 
Perciò mi ero messo l'animo in pace ed avevo preso posizione, che si sà ... nella vita è importante. E poi? E poi il notizione di questa sera: "Thoihir dice no allo scambio" ... e quindi? Ma come? Ma se siamo andati noi da quelli là a chiedere Vucinic, mica ci siamo andati pensando che sarebbe stato un prestito non oneroso? (se poi qualcuno mi fa l'esegesi della frase "Prestito non Oneroso" lo ringrazio ... perchè un prestito è per definizione non oneroso. Vabbeh ... digressione). Ma Branca, Ausilio e Thohir si erano almeno parlati prima di andare là o cosa? Ecco, è questo che mi sconcerta. E siccome non ci facciamo mancare mai niente, "le menti della Nord", in preda ad uno sciame sismico, hanno persino elaborato un comunicato stampa "senza mezzi termini". Cazzo! Chi sa che fatica andare a cercarli tutti sul dizionario per scriverli interi I termini intendo.
Risultato: abbiamo "movimentato il mercato" ottenendo "solo" che la stampa, le famose "prostitute intellettuali", aprisse millanta di tavoli di discussione su "chicazz'è Thohir" (in effetti .. però ....) facendo completamente dimenticare che i gonzi sperano nella prestanza di mandingo e nelle labbra di BB.
Tristezza? No, squilibrio psichico, semmai! Perchè, alla fine di questa storiella, c'è una domanda che fa capolino nella mia testolina bacata ed è .... cazzo non me la ricordo più. NO! Scherzo ... la domanda è: ma come abbiamo fatto in così poco tempo a diventare quello che siamo, dopo essere stati per anni una macchina tritatutto? 
Dal momento che credo passerà ancora un po' di tempo prima che, aprendo un Bacio Perugina, trovi la risposta a questa domanda su un fogliettino taroccato da un pasticcere gobbo, mi consolo con una vittoria della Roma (chi l'avrebbe mai detto?) e la faccia imbestialita di parrucchino che lascia il campo dell'Olimpico. 

E per chiudere, la sconvolgente dichiarazione di mia moglie questa sera: "Penso che tiferò Roma". Così. A freddo. Dopo anni che la tempesto di partite, di giornali, libri, riviste, foto, video, storia, magliette del centenario, il movimento futurista che sta dietro la storia di una squadra nata per affratellare gli uomini ... tutto questo sbattimento e poi? "Penso che tiferò Roma". Che vita di merda!
K.

martedì 21 gennaio 2014

ABBIAMO VINTO

"Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere"
(Sun Tzu)

Credo che oggi sia stata una giornata fantastica per i nostri colori e la nostra passione.

Una grande giornata di interismo viscerale ed epico, di quelle che i media non descriveranno mai, nel loro mondo fatto di stile Juve, programmazione Milan, e stelle come se piovesse merda ai monsoni in India.

Abbiamo vinto su tutti i campi, pur senza giocare, pur con la squadra in crisi.

Abbiamo vinto perché abbiamo fatto girare il cazzo ai gobbi, a elica, estorcendo addirittura un comunicato di ripicca, come fossero un Milan qualsiasi, e la cosa la dice lunga.
Abbiamo vinto perché il ricordo del triplete (con la Champions) stasera brucerà ancora di più nel loro culo, dopo che i pennivendoli di regime ci hanno deliziato sin dalla sera in cui Wes con il Galatasaray (sì, oggi abbiamo vinto dando Wes al Galatasaray un anno fa) narrando la bellezza del triplete/nemesi prossimo venturo della più grande Juve di sempre (con l'Europaleague). Nel loro culo, nei loro fegati, nelle loro teste, nella loro pancia, se è lì che risiedono le emozioni, sebbene i gobbi quando amano non sentono le farfalle volare bensì i pipistrelli - quelli del cattivo Brunga nemico di Chobin, con un occhio solo. E la stella ce l'ha Chobin, brutte merde. Non voi, ladri.
Scusate la divagazione. Cartoni animati, come lo scudetto più bello nel loro immaginario, di cartone.

Quanto deve fare male, a loro.
Abbiamo vinto, dicevo, perché l'epica del caos societario per noi non si limita a una foto al ristorante con Tevez o a Kaka che bacia la maglia sei mesi prima di andare a fallire al Real prima di tornare rotto, da noi tutto si eleva a letteratura e poema.
Abbiamo vinto perché, succeda quel che succeda, da oggi abbiamo una serie di punti fermi su cui parametrare i giudizi futuri sull'operato del nuovo Presidente, e in un'epoca di cambiamenti, le certezze, anche quelle che derivano da problematiche vive come carne ferita, sono sempre un passo avanti verso una soluzione.
Abbiamo vinto perché in fondo ci siamo divertiti tutti oggi, e certe emozioni il 99,99% delle altre squadre non sanno darle nemmeno vincendo in campo.
Quanto siamo belli mamma mia...
Abbiamo vinto.


Senza vergogna

Qualche giorno fa ho postato una grafica molto semplice: "F.c. Internazionale Milano - Proud of being different since 1908".
Ogni Interista che si rispetti sa cosa vuol dire. È ciò che ci fa sentire diversi, speciali, unici.
Tanto spesso divisi dalle considerazioni sulla squadra, quanto coesi nel sentirci onesti, innamorati, romantici, Interisti.
Sosteniamo la nostra Pazza Inter dalla prima volta che ci ha fatto innamorare, siamo disposti a sopportare tutto, anche le più brucianti sconfitte, per poi impazzire di gioia quando meno te lo aspetti, compiendo imprese gloriose. Tifare l'Inter è come stare sulle montagne russe all'infinito, non è una squadra adatta ai deboli ma soprattutto ai poveri di cuore.
Noi siamo così, entusiasti e orgogliosi, a volte scontenti ma sempre filosofici e soprattutto ironici.

Dopo ieri, leggendo qua e là, più o meno a tutti è caduto il mondo addosso.

"SCAMBIO GUARIN-VUCINIC".

Immagino che il pensiero comune sia stato "Solite cavolate di calciomercato".
E invece no.
Constati con un misto di ripugnanza, sgomento, voglia di piangere e di spaccare tutto che la nostra dirigenza sta trattando con quelli là, quelli che si permettono di infangare la memoria del nostro Giacinto, che ci chiamano "prescritti", "la banda degli onesti", che ci insultano in ogni maniera possibile, che ci hanno derubato, ingannato e preso per il culo per anni e che continuano a farlo.
Non entro nel merito strettamente tecnico, non mi interessa. Giusto per chiarirci, io non gli avrei dato nemmeno Pereira a quelli.
Da sempre siamo acerrimi nemici, siamo contro tutto ciò che essi rappresentano, siamo l'esatto opposto. Siamo ORGOGLIOSI di NON essere come loro. Se per noi tifosi è così importante l'Interismo, non ti aspetti assolutamente di meno da quelli che dovrebbero essere il cuore della tua società e che dovrebbero rappresentarla sotto ogni aspetto, in ogni sfaccettatura.

L'Inter per noi non è solo una fede calcistica, è quel poco di romantico che ancora troviamo nel calcio moderno, è onestà, è solidarietà, è Inter Campus.
L'Inter è un'ideale e voi dirigenti state facendo di tutto per infangare tutto ciò che per noi rappresenta. Siete senza vergogna, come loro.

Ma "noi non siamo quella roba lá" e non lo saremo mai.


Post Fata Resurgo

But everybody's changing and I don't feel the same 
(The Keane)
Ma tutti stanno cambiando e io non mi sento lo stesso.


Esistono libri, canzoni oppure film che, per ragioni insondabili, divengono parte di noi.
Possiamo rimanere anni senza riascoltare determinate note o senza leggere alcune pagine, finchè, imbattendoci per caso in esse, realizziamo che sono sempre rimaste dentro di noi, da qualche parte, e in mancanza di esse, saremmo state persone diverse.
Nè migliori né peggiori, semplicemente differenti. Senza quegli accordi e quelle parole ci sarebbe venuto a mancare qualcosa che è riuscito a penetrare le vibrazioni più profonde del nostro animo, concorrendo a foggiare la nostra essenza nel presente.

Gli eventi legati all'Inter in queste ultime ore mi hanno portato a riflettere su uno dei libri che più ho amato durante l'adolescenza e le cui pagine finali mi sono sempre parse metafora compiuta di quell'insieme di processi raggruppati sotto la voce “Cambiamento”.
La trama stessa svela e accompagna il protagonista lungo un percorso di crescita e identificazione che, camaleonticamente, lo condurranno a un mutamento di sé e dei propri convincimenti tale da indurlo a sentirsi man mano emarginato da contesti prima consueti, senza però riuscire a fondersi nell'apparente Bel Mondo da lui inizialmente agognato.
La conclusione di questo tragitto interiore lo vedrà optare verso la scelta suprema e definitiva, l'unica scevra dai compromessi a cui non è mai voluto sottostare, in un sacrificio di sé molto simile a una purificazione.
Le pagine finali, tramite una descrizione quasi chirurgica dei suoi tormenti, esprimono lucidamente il dibattersi, non solo allegorico, fra la “Vecchia” vita e un nuovo orizzonte.

La morte è vista come apogeo del mutamento fin dall'antichità: il Mito della Fenice (Post Fata Resurgo: dopo i Fati/il destino/la Morte io risorgo) che incessantemente rinasce dalle sue ceneri pare voler rammentare come ogni trasformazione rechi irrimediabilmente con sé frammenti di dolore lancinante.

L'errore più frequente è inquadrare questi ultimi spasmi come un proemio invece che un epilogo.
Fra le parole conclusive si trova questa esposizione folgorante nella sua scarna perfezione:
Poi sopravvennero le sofferenze e il soffocamento. Non era ancora la morte – come diss'egli a sé stesso sfiorando il limite tra coscienza e incoscienza. La morte non fa soffrire; era ancora la vita, quell'atroce sensazione di soffocamento; era l'ultimo colpo che gl'infieriva la vita.”

Oggi, provando a districarmi nel labirinto della trattativa con la juve relativa allo scambio Guarin-Vucinic, rimuginavo su questo passaggio e su come questa non sia la “presentazione” di Thohir, ma“Gli ultimi fuochi” di una dirigenza sulla via dello smantellamento.
Non so cosa dovrà attendersi l'Inter nel futuro, forse “Lacrime e sangue”, come da più parti indicato.
So però che da anni abbiamo accettato una serie di operazioni astruse e ai limiti dell'ermetismo, mentre ora sembra che la tifoseria sia pronta alla rivoluzione verso la nuova proprietà.

Ci ritroviamo, nostro malgrado, nel mezzo di una trasmigrazione. Il veleggiare è difficoltoso e, istintivamente, preferiremmo tutti aggrapparci alle consuetudini, sebbene siano proprio quelle ad averci condotti fin qui, piuttosto che rivolgerci verso l'ignoto.
Forse il luogo dove approderemo non sarà confortevole come quello a cui eravamo abituati, ma meglio una maturazione, seppure dolorosa a un lasciarsi trascinare lungo un eterno presente.
Post fata resurgam.
Dopo “la morte” risorgerò.
Non una speranza, bensì una convinzione.
In questa certezza viene raffigurato l'ordine naturale delle cose: ad ogni fine corrisponde un principio.


***Nota 1 :
non ho voluto indicare il titolo del libro volutamente.
Chi già lo conosce, lo avrà individuato.
Chi invece ancora lo ignora, se un giorno dovesse leggerlo non avrà il finale rovinato.

***Nota 2:
Ciò detto, se mi dovessero vendere pure Kovacic, altro che filosofeggiare tentando di mantenere la calma. Visto ciò che scriverei, verrebbero a prendermi a casa con gli elicotteri, tipo Apocalypse Now.


domenica 19 gennaio 2014

- Calciopoli -

Questo pensiero lo scrivo adesso, di getto, senza guardare nemmeno la partita, perchè dopo le 17 potrei essere condizionato, nel bene e nel male, nella sua stesura, per ovvi motivi.

Capita... capita sovente diciamo, che personaggi improbabili di sedicesimo livello professionale, ed anche umano oserei dire, piuttosto e anzicheno, ammantati dal loro livore nei confronti di una esperienza Interista negativa, riversino la loro frustrazione sulla stessa.
E come? Dicendo che: l'Inter ha vinto solo grazie a calciopoli (o juventopoli, o moggiopoli.. corretti sinonimi).

Ecco, si, è vero... l'Inter ha vinto grazie a calciopoli.

L'Inter ha vinto grazie a calciopoli, ed è giusto che sia cosi. E' giusto nella logica delle cose ed è giusto nel merito. Si, perchè non credo che si sia mai visto un attegiamento corretto prevalere su uno scorretto senza l'ausilio dell'intervento della giustizia.

Poteva Carl Lewis battere Ben Johnson, ad esempio? O viceversa senza l'ausilio di doping? (argomento tanto caro sempre agli stessi protagonisti di calciopoli)
E questo vale in tutti i campi, non solo quello sportivo.
Il processo "calciopoli" ha arrestato, forse solo temporaneamente, un sistema criminale che avvantaggiava solo il suo vertice ed, in maniera diversa, i suoi adepti... o lecchini omertosi, che dir si voglia.

Chiuso questo passaggio logico, che capirebbe anche un bambino, ma fa fatica ad entrare nei crani di tali personaggi...  passiamo alla parte più importante.

L'Inter è la dimostrazione di quanto possa inficiare un sistema criminale su tutto l'andamento organizzativo di una società. Di come ne mina le idee e le scelte alle fondamenta.

La dimostrazione è il lustro 2006 - 2011, quello appunto post "processo calciopoli". Dove l'Inter non ha solo stradominato in Italia, stabilendo ogni record di vittorie e punti, e non solo nel "fatidico" anno in cui la juventus è stata giustamente retrocessa in serie B per i fatti di calciopoli, ma ha raggiunto l'apice nella massima competizione d'Europa. Vincendo nell'anno della, soprannominata da me, "apocalisse nerazzurra" : Coppa nazionale, Campionato nazionale e Champions League, in 22 giorni... con la ciliegina del Mondiale per Club.

Questa apoteosi di successi, che ha procurato non pochi danni ai bicipiti di Zanetti, causa alzo continuo di trofei (o tituli, che dir si voglia), da l'esatto spessore di cosa fosse quella squadra, di quanto avrebbe potuto vincere in più in precedenza, senza un sistema criminale che glielo impediva e che ne confondeva le scelte. E di quanto e come avesse lavorato bene Moratti... che non era solo uno che spendeva montagne di quattrini senza vincere, ma bensi era uno che spendeva montagne di quattrini e NON poteva vincere. (In 5 anni si è rifatto e bene, comunque)

Ora si dirà: si ma adesso guarda, siete ritornati come prima.

No, Alt. I cicli sportivi, sia per quanto riguarda gli sport di squadra che individuali, sono destinati ad avere un termine. Sovente per un fattore anagrafico, ma anche per fattori diversi quali: riduzione degli investimenti ed appagamento di alcuni elementi, ad esempio.
Diciamo che il ciclo vincente dell'Inter avrebbe potuto probabilmente essere di 15 anni e non "solo" 5, senza il sistema moggi, ecco.

Non è certo questo che sminuisce quello che ha vinto l'Inter in tutta la sua storia e non dal 2005 ad oggi. Non è certo questo che sminuisce i suoi campioni ed i suoi presidenti.
Anzi, essere da sempre estranei... come? non si legge bene? ok lo scrivo cosi allora: ESSERE DA SEMPRE ESTRANEI ad ogni porcheria perpetrata in ambito calcistico, è solo motivo di vanto... In un paese normale, non vessato da una dittatura mediatica, è questo che andrebbe sottolineato e non il resto, chiaro?

L'Inter, al di la di tutte le pecche e tonfi, ha sempre vinto con le proprie forze e con i propri meriti.

La lealtà è una cosa per pochi.

Amala, Ubicumque et semper.

- Charms -









sabato 18 gennaio 2014

GENOA-INTER - DIAMO I NUMERI...

Genoa-Inter può essere tranquillamente definita una classica del calcio italiano.
Non potrebbe essere altrimenti quando ad incrociarsi sono il club più antico d'Italia e l'unica squadra ad aver giocato tutte le 3073 partite possibili dall'istituzione della Serie A avvenuta nel 1929.

Il Genoa Cricket and Football Club viene fondato il 7 settembre 1893 nel capoluogo ligure.
Il calcio è ancora all'alba della sua gloriosa avventura, e il Genoa si prende il ruolo di prima grande potenza del neonato sport in Italia.
Vince i primi 3 campionati a cavallo tra fine '800 e inizio '900.
Le avversarie dell'epoca sono soprattutto Pro Vercelli, Milan, Juventus. Ma anche Inter. Il Grifone tuttavia in quegli anni ce le suona di santa ragione quasi sempre. Una sola vittoria per l'Inter nei primi 14 incontri fuori casa, nel 1913. 10 vittorie sono rossoblu, tra le quali spiccano un 6-0 e un 6-1 a marzo e dicembre 1928.
L'epopea del Genoa tuttavia si esaurisce prima dell'avvento del girone unico nel 1929. L'ultimo dei 9 scudetti risale al 1924. Da quel momento il Grifone rientrerà piano piano nei ranghi, attestandosi ad un livello medio della Serie A, con alcune cadute, talvolta anche lunghe un decennio in Serie B e qualche raro acuto soprattutto a inizio anni '90 con alla guida Osvaldo Bagnoli (quarto posto e semifinale Uefa l'anno dopo).

I precedenti in Serie A a Marassi sono 46 con un bilancio di 13 vittorie genoane, 19 pareggi e 14 vittorie nerazzurre. 62 gol dei padroni di casa, 61 per l'Inter.
L'Inter ha un'ottima tradizione recente nella Genova rossoblu, terra di conquista soprattutto nel quinquennio magico fatto di scudetti e coppe terminato nel 2011.
Celeberrimo lo 0-5 del 2009, quando l'Inter di Mourinho si presentò al cospetto del Genoa di Gasperini (stendiamo un velo pietoso sulle sue dichiarazioni) con alcune defezioni pesanti in attacco (fuori Milito ed Eto'o) e con Balotelli unica punta. La partita fu un totale dominio di un'Inter all'epoca straripante e la vittoria venne impreziosita da una gemma dell'amato Deki Stankovic, con un gol da metà campo su un errato rinvio di Amelia.

L'ultimo gol rossoblu contro la Beneamata risale al 19 marzo 2008, e porta la firma di Borriello che siglò al minuto 87 il definitivo 1-1. Da quel momento 4 vittorie dell'Inter e un pareggio a rete inviolate nell'ultimo precedente.
Dobbiamo ritornare invece al 1994 per ritrovare l'ultima vittoria del Genoa. 2-1 con gol di Van't Schip e Ruotolo.

Genoa e Inter hanno anche buoni rapporti a livello di mercato. Un pezzo del Triplete del 2010 è partito proprio da Genova con gli arrivi di Milito e Thiago Motta. E poi ancora Palacio, Ranocchia...
Per una volta insomma un'avversario che certamente voglio battere, ma che non detesto come altre antipaticissime compagini provinciali...sarà forse il fascino del vecchio, sbiaditissimo, ma pur sempre esistente blasone rossoblù...

Il rendimento del Genoa a Marassi è abbastanza buono con 4 vittorie, 3 pareggi e 2 sole sconfitte. I liguri, forti di un calorosissimo pubblico tra le mure amiche fondano sempre le loro possibilità di raggiungere gli obiettivi, quest'anno realisticamente una posizione di centro classifica.

L'Inter in trasferta ha il miglior attacco di tutta la serie A con 21 gol, che però ha fruttato la miseria di 3 vittorie (Catania, Reggio Emilia, Udine), poi troppi pareggi hanno rallentato la marcia dei nerazzurri.
E' arrivato il momento d'invertire la rotta fuori casa e tornare a far valere la recente buona tradizione con il vecchio Grifone.

AMALA.

                                                   

Sono Interista

Essere Interista è bello perchè di Inter scriveva il fantastico Elio Matassi... Non un Mughini qualsiasi;

Sono Interista perchè vincere è bello, ma non l'unica cosa che conta;

Essere Interista è bello perchè il Triplete, quello vero, ti da sensazioni uniche;

Sono Interista perchè se non vuoi tifare per gli avvocati, non hai molte alternative di tifo;

Essere Interista è bello perchè abbiamo Zanetti capitano che, dopo l'unica espulsione subìta, ha stretto la mano all'arbitro;

Sono Interista perchè io "... Non sono quella roba là...";

Essere Interista è bello perchè provate voi a mettere in giro la voce che Ibra porti sfiga in Champions;

Sono Interista perchè, quando da bambino vedevo in TV Moratti, Agnelli o Berlusconi, capivo subito chi era il buono... E chi erano i cattivi;

Essere Interista è bello perchè non abbiamo giornali che dicono come dobbiamo pensare;

Sono Interista perchè tra l'Avvocato Prisco e l'Avvocato Agnelli........ ma che ve lo dico a fa......;

Essere Interista è bello perchè Mourinho stava sul cazzo a tutti... Ma ce l'hanno invidiato ancora di più;

Sono Interista perchè, senza falsa modestia, sono più intelligente di Brosio, Abatahahahantuono e compagnia cantante;

Essere Interista è bello perchè Noi abbiamo avuto un Presidente che ci ha tenuto fuori dalla palta di calciopoli;

Sono Interista perchè mi piace il calcio pulito;

Essere Interista è bello perchè... Guardateli... ma avete visto come li abbiamo ridotti!?

Sono Interista perchè amo il calcio... e quindi odio la Juve;

Essere Interisti è bello perchè all'estero non sei identificato come "thief";

Sono Interista perchè Walterone Zenga è Interista;

Essere interisti è bello perchè vedere bambini sorridere, in ogni angolo del pianeta, tirando calci ad un pallone grazie ad Inter Campus è emozionante;

Sono Interista perchè "... Sono un fratello del mondo...";

Essere Interista è bello perchè abbiamo vinto il quattordicesimo scudetto con un anno di ritardo... Con calma;

Sono Interista perchè mio padre era Interista e mi ha insegnato ad amare il nero e l'azzurro... "... Dio che culo!!...", e nemmeno oso pensare fosse stato gobbo o gonzo... Grazie, Pà.

Essere Interista è una bella cosa nel suo insieme (quasi cit.).

To be continued...

Andys


venerdì 17 gennaio 2014

Rospo in gola...

Si tratta forse della prima volta che sono rientrato in Svezia non sentendo subito la voglia di tornare a Milano. Nella città della mia squadra. A Stoccolma sto bene, è la città più bella del mondo ma non c'è l'Inter, la mia passione. Quindi per forza devo tornare a Milano. Mi ricordo bene bene il viaggio per il derby. 25 Interisti Svedesi, cene, feste, serate, due derby vinti e poi a casa. Come fa a non mancarti Milano dopo un viaggio del genere?

A me mancava cosi tanto che il biglietto aereo per la partita contro Chievo l'ho comprato una settimana dopo il derby. Però dopo la partita contro i veronesi non sento la stessa voglia di tornare come dopo il derby e non è per il risultato, perchè non si tifa il risultato, ma si tifa una maglia e suoi due colori. Dopo la partita contro Chievo ho solo sentito: schifo, schifo e ancora una volta schifo. Ho visto davanti a me un gol non dato in un modo clamoroso. Perchè al momento del gol ho guardato bene il guardalinee. Un secondo... due secondi... tre secondi..... Quindi ha visto quello che abbiamo visto tutti noi, era gol regolare. Quattro secondi "Alzo la bandierina" e annullo il gol.

Poi il resto lo sapete bene. Esco dallo stadio, vado con il mio fotografo, non ero neanche incazzato, provavo solo un grande schifo per tutto quello successo davanti ai miei occhi. Seguendo il calcio italiano da fuori per lungo tempo si capisce un po'. Senti parlare di "sistema", vedi calciopoli e allora qualcosa ne sai. Poi vedi una partita così e ti stupisci. Pensi cosa sarebbe successo se avresti portato un amico con te. Magari per farlo innamorarsi dell'Inter, e poi vede una partita cosi. Cosa gli dici? "È cosi ed e sempre stato così."? Sarà sempre così? Penso a Thohir che ha visto la partita insieme a 200 indonesiani, come gli spieghi quello successo contro Chievo, o contro Lazio ed Udinese. Non so neanche io cosa succede e perchè, però che l'Inter viene danneggiata nel modo peggiore da quasi due anni lo sappiamo tutti.

E poi chiedo come il calcio italiano vuole andare avanti. Parlano di marketing in Asia, nel Mondo, negli States. Si, certo, buona fortuna vendere un calcio schifoso, dalla qualità mediocre e arbitri scarsissimi, all'estero, dove non si capisce o non si è abituati con sistemi, politica nel calcio etc.
Ricordo benissimo le parole dell'arbitro in quel Inter-Cagliari l'anno scorso. "Voi dell'Inter dovete stare zitti.". Zitti?! ma non possiamo mai stare zitti. "Con il vostro silenzio avete creato calciopoli" ha detto Mourinho, che ha anche detto che pagheremo per aver fatto il triplete. Ma pagheremo per cosa? E a chi paghiamo? Sono cose che mi chiedo e non capisco.

La cosa peggiore però deve essere che non ho neanche letto scuse da parte dell'arbitro o dei designatori, come invece è successo per altri. Pessimi.

Non importa. Prossimo viaggio Inter – Sassuolo. Ci vediamo al baretto. Amala.

giovedì 16 gennaio 2014

Allegri... chi?


Seedorf è l'allenatore del Milan. Ha vinto il ballottaggio con Giovanni Toti.

A fine anno Abbiati appenderà le scarpe al chiodo.
Capovolte.

Icardi: "In testa solo Catania". E mò chi è quest'altra?

Matri alla Fiorentina; prima di partire ha ringraziato gli ex compagni.
Poi lo ha fatto anche la Nargi.

Moggi come Andreotti: due gobbi prescritti.

Compleanni: il Bari compie 106 anni.
104 omessi da Conte.

Mercato: l'ex Lazio Hitzlsperger che aveva fatto coming out("Sono gay") passa ai Village People.




Fuorigioco.Punto.



mercoledì 15 gennaio 2014

Just like a rolling stone

And he carries the reminders 
 of ev'ry glove that layed him down 
or cut him till he cried out
 In his anger and his shame
"I am leaving, I am leaving"
 but the fighter still remains(The Boxer)
(E lui porta con sé i ricordi
di ogni guantone che l’ha buttato al tappeto
o ferito fino a farlo gridare
con la sua rabbia e la sua vergogna
"Adesso abbandono, abbandono!"
ma il lottatore rimane ancora lì)




Mi piace ascoltare la cronaca di una partita quando la seconda voce è quella di Lele Adani.
Apprezzo la competenza di un ex giocatore scevra dalla banalità o dai timori reverenziali spesso caratteristici di altri suoi colleghi.
Non cammina sulle uova come Beppe Bergomi che, nell'utopico tentativo paraveltroniano di scontentare nessuno, riesce a scontentare tutti. Non si inerpica lungo le disquisizioni caliginose di Ilario Castagner e non si accoda tautologicamente alla prima voce come Luca Marchegiani.
Lele Adani interloquisce con cognizione di causa palesando spesso una conoscenza superiore dell'argomento rispetto al preconcetto indicante un ex calciatore come un incompetente globale.
Secondo me a Lele Adani piace il calcio. O almeno, così pare lasciar trasparire.
Me lo immagino mentre si ritrova con gli amici ai giardinetti per tirare quattro calci al pallone, oppure ritardare di cinque minuti l'uscita dal bar, dopo aver pagato il caffè, per scoprire se quell'azione baluginante dallo schermo finirà con un gol o si spegnerà mestamente contro i tabelloni pubblicitari.
Trovo perfino gradevole quel suo accento che odora di provincia rurale e di nebbia mattutina, la cui cadenza dipinge inconsapevolmente il profilo di una città sospesa fra passato, presente e incerto futuro, fra una campagna semispogliata e capannoni industriali simili a astronavi abbandonate da antiche civiltà.


C'è però un'associazione mentale inconscia che mi porta a non cambiare subito canale quando mi imbatto in una telecronaca di Lele Adani.
Perché, bruscamente, davanti agli occhi prende vita un Lele Adani di dieci anni più giovane, immobile, iconico, con le braccia levate in alto e le pupille rovesciate al cielo, cristallizzato in quel momento rarefatto come un respiro, un attimo prima di venire sommerso dagli abbracci dei compagni.
E ripenso alla partita.
A “Quella” partita.


Mi ha sempre reso scettica l'esaltazione della “Sconfitta”, soprattutto riferita alla propria squadra.
Perdere è irritante, sia in prima che per interposta persona, per questo guardo con diffidenza all'entusiastica esaltazione dell'epica degli sconfitti. Mi è sempre parso di scorgervi un'indulgenza autoconsolatoria volta a condonare le mancanze rispetto al vincente.
L'Inter per me è “Cosa viva” e per coloro che amo desidero sempre il meglio. E il meglio, solitamente, si incarna nella vittoria.
Tendo quindi ad allontanare le memorie dei fallimenti per rivolgermi verso il piacere delle conquiste.

Eppure esistono alcune sconfitte che, nel modo in cui sono state combattute, raggiungono la dignità di una vittoria.
Il ritorno di Inter-Juve semifinale di Coppa Italia, anno 2004, è una di queste.


L'andata a Torino era terminata 2-2 e, sull'appressarsi del ritorno, sono accaduti vari eventi che forniscono ulteriori elementi bellici ad un incontro già ammantato di rivalità. La Juve in campionato perde a Roma inaspettatamente e vede il Milan arroccarsi sulla cima della classifica, mentre l'Inter, ancora sbigottita per l'eliminazione in Champions subita a conclusione del 2003, veleggia senza più l'obiettivo scudetto.
La Coppa Italia, competizione sovente dimessa, assume la valenza di trofeo che può migliorare una mediocre stagione.
Nessuna delle due dunque ha intenzione di recedere dall'intento di pervenire in finale.


San Siro, quella sera, indossa la veste migliore, quella riservata alle partite di cartello in campionato.
Oltre 60.000 spettatori, in maggioranza interisti, sebbene la presenza bianconera sia rilevante, come accade in qualsiasi stadio d'Italia la Juve si trovi ad transitare.
Inter-Juve per gli interisti è La Partita, quella dove l'odio sportivo può fluire senza argini e i rancori pulsano come ferite fresche.
La Juventus, emanazione della “reale” monarchia italiana, incarna l'alterigia dell'autorità e arroga su di sé l'odio misto al timore che si riserva sempre alle manifestazioni del potere.
Non possiede la storia, a volte epica e a volte arruffona, del Milan, la rivale di un derby in cui i tifosi, come in un gioco di specchi, reputano l'una il Doppelgänger dell'altra, quasi a sancire un inconsapevole legame sempre negato e aborrito.
La partita con la Juve, per ogni interista, è quella che dovrebbe essere affrontata come una battaglia, fino all'ultima stilla di sudore. Le aspirazioni dei tifosi però raramente coincidono con le prestazioni dei calciatori in campo, generando quindi altre frustrazioni oltre a quelle subite per lo spurio risultato sportivo.
La designazione arbitrale, Pellegrino da Barcellona Pozzo di Gotto, provoca malumori dalla parte interista , a cui risponde un distaccato sarcasmo da parte juventina. “I consueti piagnistei degli interisti”.
Anni dopo l'arbitro Pellegrino sarebbe andato ingrossare l'organico societario del Messina, società satellite dell'universo moggiano per poi scomparire completamente dopo l'indesiderata notorietà riacquistata durante lo scandalo Calciopoli.

L'Inter, allenata da Zaccheroni, aggredisce l'incontro quasi a voler assecondare i desideri dei sostenitori.
Poco oltre il quinto minuto Adriano, non ancora risucchiato dall'onda suoi demoni, accoglie un lancio di Stankovic, si svincola da Le Grottaglie e, disorientando il portiere Chimenti, colloca il pallone sul fondo della rete.
I tifosi erompono in un urlo di gioia.
Per il gol, segnato da un giocatore che sentono come loro e che potrebbe rappresentare la rinascita e la nemesi di quel Ronaldo la cui dipartita li ha feriti con gli spasimi che solo i grandi amori portano in sé.
Per essere stato segnato proprio alla Juve, in una competizione improvvisamente scopertasi fondamentale.
E per l'atteggiamento mentale della squadra, finalmente pugnace e battagliero, a seguito di varie esibizioni vacue al limite dell'inconsistenza.
Una manciata di minuti più tardi Cannavaro deve uscire a causa di un fastidio muscolare e in questo infortuno sembra palesarsi un proposito del destino.
In una serata come questa la presenza di ominicchi è mal sopportata.
L'ingresso di Van Der Meyde all'ala destra spinge Helveg qualche metro indietro sulla linea dei terzini, fra i primi borbottii degli astanti che valutano con preoccupazione una linea difensiva composta dal laterale danese ex milanista, pupillo di Zaccheroni ,raramente convincente in nerazzurro e Lele Adani, difensore italianissimo nella sua interpretazione del ruolo.

Eppure, nemmeno fosse stato tutto pianificato da uno sceneggiatore particolarmente fantasioso, ogni tassello inizia a posizionarsi esattamente al posto giusto e i malumori per alcune decisioni arbitrali valutate negativamente dai nerazzurri fino alla repentina scossa seguita al gol del pareggio segnato da Tudor divengono il proscenio per la messa in scena della partita sognata da ogni tifoso nerazzurro.
Gli uomini in campo non protestano istericamente, come avvenuto troppo sovente in passato e non cedono allo sconforto per la percezione di uno sbilanciato metro arbitrale.
Reagiscono moltiplicando le energie e incarnando sorprendentemente il desiderio di ogni appassionato: vederli lottare come tifosi.
Dalla contesa sboccia l'impensabile: i topini di Cenerentola si trasformano in fieri destrieri dalla nivea criniera e la classe operaia va in paradiso.
Helveg, lo scandinavo sfuggente e rigido come il suo idioma senza vocali e Adani, il discreto difensore di provincia dai lineamenti di indiano metropolitano si elevano a guida per i compagni, comandandoli con adamantina fermezza.

Lele Adani diviene l'epicentro stesso della difesa, sorretto dalla stessa fideistica determinazione che muove il bambino più gracile ritrovatosi a protegge la bandiera della sua compagine quando i suoi amici più robusti e atletici son stati eliminati.
Helveg incassa la testa fra le spalle e corre, trasponendosi da una fascia all'altra e strappando palloni dalle gambe avversarie. Si precipita in avanti ad assistere gli attacchi caotici dei compagni per poi arretrare repentinamente in soccorso delle mancanze della difesa.
Quando Cordoba, in balia della sua veemenza, viene forzato ad accomiatarsi anzitempo con un cartellino rosso, Zaccheroni può mutare nuovamente le sembianze della squadra appoggiandosi all'abnegazione del suo pupillo.
Zanetti scala come terzino ed Helveg, per la prima volta in carriera, si separa dalla consueta quotidianità della fascia per migrare verso il centro della difesa, appressandosi a Lele Adani, perchè la solitudine dell'area di rigore è troppo gravosa perfino per lui, questa sera.

Nel Vangelo è narrata una parabola relativa a un vignaiolo, accordatosi con alcuni lavoranti per un soldo di paga in cambio dell'attività fra i filari.
Durante il trascorrere della giornata si imbatte in altri uomini desiderosi di lavorare, li conduce man mano alla sua vigna finchè, al tramonto, a ognuno di loro riserva lo stesso pagamento.
Un soldo.
Per quelli che hanno lavorato dal mattino, per quelli che hanno faticato sotto il sole del pomeriggio e per gli ultimi affaccendati nell'ultima ora prima del crepuscolo.
Rammentando questa partita il pensiero mi va a questa parabola e ai vari giocatori che hanno vestito la casacca nerazzurra per tanti anni, senza che la loro reiterata presenza abbia depositato poco più di un pallido alone nella mia memoria.
Beppe Bergomi ha militato nell'Inter per oltre vent'anni, avviandosi nelle giovanili e terminando la carriera come capitano eppure, per me, una partita come quella di Lele Adani ed Helveg quella sera non l'ha mai giocata.
Mi dispiace Zio: la riconoscenza non è di questo mondo, lo sai anche tu.

Quando Del Piero, il 10 juventino che ha nei piedi l'apogeo del suo talento, scaglia di testa in rete la palla del vantaggio, sfruttando un corner di Miccoli, molti interisti si convincono che gli intenti del Fato perseguano una costernata monotonia.
La Juve stessa, memore delle situazioni passate, si adagia sulla consapevolezza del ritenersi sempre la più forte e attende la capitolazione di un'Inter fiaccata nel morale e prostrata dalla fatica.
I nerazzurri convogliano le forze per scagliarsi all'attacco, ma i bianconeri palesano una rocciosa saldezza, coadiuvati involontariamente da un arbitraggio che dimostra di non essere in grado di gestire le emozioni che attraversano il campo come scariche elettriche durante un temporale.

I 5 minuti di recupero paiono il proemio dell'affermazione juventina, corredata dalle cicliche polemiche sulla sua ascendenza sulla classe arbitrale.
Ogni innamorato dei colori neroazzurri indugia lungo gli attimi che lo separano dal fischio finale, acquiescente verso una sconfitta che pare abbozzarsi all'estremità di quella partita.
Si consola persuadendosi che i giocatori hanno realmente dato tutto e non vi siano possibilità di sfuggire alle disposizioni del Destino.

Lele Adani però sente di non aver dato tutto. Percepisce in sè ancora una stilla di vigore e di volerlo utilizzare fino all'acme delle sue capacità.
Lele Adani erompe imprevedibilmente dalla difesa, come un soldato da una fangosa trincea, animato dalla rivelazione di avere più niente da perdere e nulla da proteggere e “When you ain't got nothing, you got nothing to lose”.
Sull'increspatura dell'ultimo secondo della partita, Lele Adani scaraventa nella porta di Chimenti il pallone appena ribattuto ad Emre.
San Siro esplode nell'urlo selvaggio di migliaia di voci congiunte in una sola e Lele Adani leva le braccia al cielo, quasi a voler offrire quel grido a qualche lontana divinità.


Chissà se ogni tanto anche Lele Adani ricorda quella partita...



***
Poichè le partite “Vere” non sono film hollywodiani, questo incontro terminò con il passaggio del turno della juve, dopo il pareggio ai supplementari e lo sbaglio ai rigori di Christian Vieri.
Sì, lo stesso Vieri che, anni dopo, si sarebbe qualificato come “Da sempre tifoso della juve”.

Non temere Bobo, ce ne eravamo accorti anche noi quando giocavi nell'Inter

martedì 14 gennaio 2014

Non ci avrete mai come ci volete voi!


Inter 1 - Chievo 1 : parola al bicchiere...

La scelta del bicchiere è importante. C'è il bicchiere da vino, quello da birra, quello da amaro o da grappa...
e c'è sempre un momento in cui, qualunque bicchiere, è mezzo pieno e mezzo vuoto.
Vorrei rapportare la cosa alla gara di ieri.

Mezzo vuoto:
Un pareggio, per un tifoso di una squadra prestigiosa come è l'Inter, è sempre una mezza sconfitta, qualunque sia l'avversario. A maggior ragione se questo è ottenuto in casa e contro il Chievo-Verona, che con tutto il rispetto, è una modestissima squadra di provincia, sia calcistica che geografica.
Come spesso ci accade, ci alieniamo dalla gara per lunghi tratti, non nei singoli elementi ma in maniera compatta... sembrando in balia degli avversari, pur modesti.
Al termine della gara la classifica è sempre più deficitaria. E non mi interessa che non ci siano obbiettivi concreti, perchè la dignità è un obbiettivo sempre presente, forse impalpabile, ma importante.

Mezzo pieno:
Pur riconoscendo la modestia degli avversari, non si può negare che in altri tratti si è giocato un buon calcio, forse con pochi sfoghi offensivi, ma piacevole, veloce, lineare... A volte anche imprevedibile, quando la palla passava dai piedi giusti.
Il finale di gara non mi è parso uno sconclusionato arrembaggio, perchè se vado a vedere nomi e ruoli la squadra aveva una logica reale, soprattutto rapportata all'avversario.
I cambi: il Misteh ha cercato di farsi volere bene, soprattutto da me. Il cambio Cambiasso-Milito traccia un segno importante. Non mi piace parlare dei singoli ma faccio un eccezione. E' rimasto in campo Mateo, che aveva disputato un buona gara, e si è portato li, in cabina di regia, al fianco di un altro centrocampista. Il cambio Campagnaro - Botta, seppur oltre il 40°, ne traccia un altro. Al di la dei nomi, sono segni di un tentativo di elasticità, quasi di tentativo di svolta. Piccoli barlumi di un altro modo di pensare.

Ecco, ci sono tante cosa da migliorare, è innegabile e probabilmente per farlo servirà anche fare mercato, mercato con criterio; ma restando con la testa sul campo e non al calciomercato, ripartiamo da questo, da come abbiamo finito. Anzi, partiamo da questo. Si lavori da questo in poi, senza timori. Si lavori in maniera stimolante per chi sarà il futuro di questa squadra e non si facciano altri passi indietro. Perchè la strada è questa, non ce ne sono altre.


Sull'arbitraggio non voglio sprecare troppe, inutili, parole.
Un gol annullato per fuorigioco inesistente. E non parliamo di millimetri ma metri. Probabilmente lo avrebbe visto anche Marotttt.. no forse lui no, ma è un altro discorso.
Un rigore monumentale non dato, a centro area, con i giocatori rivolti verso la visuale dell'arbitro, che probabilmente era stato colto da un attacco ischemico transitorio.
Roba parecchio squallida, insomma.

Tutto questo non condiziona solo i risultati, ma per osmosi il morale e la voglia di chi gioca.
Si continua a dire: "E ma se sei più forte vinci lo stesso". Io non l'ho letto in nessun regolamento.
E si continua a parlare di buona fede... ovviamente col culo degli altri.

Io invece dico che ci siamo abituati, ma non saremo mai come ci volete. Siamo l'Inter, l'unica forma di opposizione di questo paese (cit.)

Amala, Ubicumque et semper.

- Charms -




lunedì 13 gennaio 2014

Interista svedese - rotta verso San Siro.

Come tutti gli Interisti, il giorno della partita è sempre lo stesso. Passo tutto il giorno pensando alla partita della sera. Vado un po' in giro per poi trovarmi allo stadio presto, prima della gara, per incontrare gli amici. Poi si entra e si tifa. Pero il mio viaggio è molto più che un autobus da casa allo stadio o il tratto a piedi da Piazzale Lotto al Giuseppe Meazza.

Tutto inizia un mese prima e quanto lavoro. Notte, fine settimana, tutto. Se mi chiamano, lavoro. Se mi chiamano per lavorare, non posso dire no in un mondo dove tante persone non hanno questa grande possibilità. E poi ho una voglia pazza di seguire la squadra che amo. il problema? Abito a Stoccolma, la squadra, la Mia Inter, gioca a Milano! Però non posso farci niente. La voglia è pazza, come la mia squadra. E devo andarci perche se non vado sto male. Lavoro e sacrificio. Vestiti, cene, pranzi cari e serate in giro per Stoccolma sono molto rari. I soldi mi servono per altro. E poi a fine mese, ecco che riesco a trovare quella partita e quella data che mi fa sorridere. Ho soldi per andare a vedere una partita!

Lavoro fino all'una della notte. Poi vado in pulman all'aeroporto. Passo qualche ora all'aeroporto prima di scendere con "l'aeroplanino" di quella merda di Ryanair. Non molto confortevole. Pero il prezzo e basso e quindi non ci si lamenta. Soprattutto pensando, magari, ai ragazzi indonesiani ed al loro viaggio. Se sono fortunato riesco anche a dormire qualche ora. E dopo un viaggio iniziato all' una, ecco che alle 10 del mattino arrivo a Bergamo.

 E sento già profumo di Inter.

Con questo mio post, vi invito ad andare allo stadio per tifare la Nostra squadra, soprattutto nel momento dove ne ha più bisogno. E mando anche il mio messaggio alla squadra e allenatore. In campo 11 leoni, sempre. Sudore, grinta e onorare la maglia. Cosi non si perde mai!

Ps. Ci vediamo al baretto.


domenica 12 gennaio 2014

Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? (Paul Gauguin)

Quando Gauguin dipinse questo quadro era in un periodo di vita davvero difficile e delundente, estremamente doloroso sotto tutti i punti di vista.
Ecco, ovviamente io non arriverò mai a tanto. Non rapporterò una questione di passione calcistica, da innamorato della mia Inter, a tanto.

Però lo stato d'animo è questo...  Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?
E più ascolto le dichiarazioni dei protagonisti, più questo stato si acuisce.

Che senso ha dire che non ci sono obbiettivi... ed in consecutio: "ci sono talenti che potrebbero diventare campioni, ma hanno bisogno di tempo, noi adesso dobbiamo pensare ai punti."

Ecco, punti esattamente per cosa? per quale obbiettivo?

Questo, non lo nego, mi crea un sofisticato imbarazzo, che in slang si traduce con: non ci sto' capendo un cazzo.

Delle due l'una:
- Non ci sono obbiettivi prefissati e quindi si punta con pazienza a far esplodere i potenziali talenti, ma non mi pare sia mai stata paventata questa cosa;
- Se ci sono obbiettivi prefissati, mi sta' bene il binomio "concreteness & experience", ma in questo caso, mi pare, cosi ad occhio, che siamo leggermente fuori rotta.

In merito, il discorso fatto dal Misteh su Belfodil mi è sembrato "agghiaggiandeeeaaa"...
l'ho trovato quantomeno un controsenso, ma deve essere un problema mio.

Qualche €uro su qualche giovanotto di buone speranze, in estate, è stato speso.
Gli obbiettivi, per me, non essendocene di classifica (Misteh dixit), dovevano essere appunto valorizzare questi ultimi e casomai aggiungerne qualcun'altro.

Si, lo ammetto, sono confuso... ma sempre fiducioso.
Il nostro compito è tifarla, e bene. As usual.

Amala, Ubicumque et semper.

- Charms -



(Paul Gauguin)




INTER-CHIEVO, DIAMO I NUMERI...



Ogni tifoso interista che si rispetti ha istituzionalmente e istintivamente due squadre da odiare: la Premiata Ditta G&G, ovvero i Gobbi di Torino e i Gonzi della Milano con il vizietto di retrocedere.
Poi ci sono quelle squadre, spesso le cosiddette provinciali, che non puoi dire di odiare, ma puoi dire senza problemi che ti stanno profondamente sui sacri bronzi.
A volte non sai nemmeno perchè, antipatia e basta. Altre volte l'acredine è giustificata da episodi particolari, o da un accanimento dal sapore di "bestia nera".


Il Chievo, nostro prossimo avversario, mi sta appunto abbastanza sulle scatole. Ho sempre avuto una sorta di rispetto per le squadre con del vecchio blasone come Torino, Genoa, Bologna, Samp. Le altre, dai nomi meno altisonanti, le rispetto meno, mi sembrano quasi passeggeri di terza classe invitati per caso alla festa degli aristocratici (lo so, non è proprio il concetto massimo di sport) e mi fanno tremendamente incazzare quando devono fare i miracoli proprio contro di noi per poi magari travestirsi da zerbini una volta di fronte alle nostre rivali storiche (davanti a tutte nella mia personale lista, Atalanta e Siena).


I veronesi hanno ricevuto la mia ammirazione solo quando, appena promossi in serie A piu' di un decennio fa, si resero protagonisti di un campionato pazzesco, concluso con un clamoroso quinto posto. Dopodichè mi sono sempre stati sulle scatole per una serie di motivazioni che sintetizzo:

- Ho sempre avuto in simpatia la vera squadra di Verona, l'Hellas

- Vittorie contro l'Inter abbastanza frequenti nei primi anni

- Uno scudetto perso per un 2-2 al 90mo proprio contro i clivensi nella famosa partita del fallo monumentale in area su Ronaldo (non c'è stato purtroppo solo quello con Iuliano), trasformato in punizione contro da quel "grand'uomo" di Massimo De Santis.

- 12 sconfitte nelle prime 12 partite in Serie A contro la Juventus.




I precedenti tra Inter e Chievo a San Siro sono 11 con un bilancio di 8 vittorie nerazzurre, 2 pareggi e una sola sconfitta. 23 gol fatti, 13 subiti.

L'Inter viene da ben 7 vittorie di fila (toccatevi tutti), tra cui dei curiosi 4-3,4-2,4-3 di fila tra il 2008 e il 2010.

L'unica vittoria veneta, nel primo incrocio di sempre tra le due squadre, è abbastanza famosa.

E' il 15 dicembre 2002. Un sabato sera freddissimo a Milano. L'Inter di Hector Cuper nelle primissime posizioni di classifica, riceve la visita della neopromossa di turno. Che non è una neopromossa qualsiasi però. Tutto il mondo sportivo sta infatti in quei giorni decantando le lodi della favola Chievo, un quartiere di Verona al comando della Serie A.

La squadra allenata dall'unico uomo piu' incomprensibile di Luca Giurato, al secolo Luigi Del Neri, è una buonissima squadra che gioca con uno scolastico 4-4-2 , ma fatto bene, con grande corsa e applicazione. E' il Chievo di Corini, Perrotta, Eriberto o Luciano, fate voi, Manfredini, Marazzina, Corradi.

La partita passa però alla storia, piu' che per il risultato sorprendente, per un fatto triste accaduto appena 3 giorni prima. Si tratta infatti della prima partita dell'Inter negli ultimi 80 anni senza Peppino Prisco, l'indimendicato e indimenticabile Avvocato Prisco, icona del tifo nerazzurro, nonchè pilastro della società e del mondo Inter praticamente da sempre.
Prisco è stato il manifesto dell'Interismo elevato ai massimi livelli. Arguto, ironico, appassionato, mai domo, sempre fiero e sempre con uno stile tipico dei migliori uomini di un tempo. Quando "esercitiamo" il nostro tifo dovremmo imporci di prendere esempio da lui per quanto possibile.

Il match  finisce 1-2 con i gol di Corradi e Marazzina (entrambi scuola Inter) intervallati dal momentaneo pareggio di Bobo Vieri (in campo c'era anche Ronaldo in una delle rare volte in cui fece coppia con Mr.90 miliardi)
Il Chievo come detto arriverà quinto, centrando una storica qualificazione in Coppa Uefa. Dell'epilogo di quel campionato per quel che ci riguarda invece non v'è bisogno che io vi faccia cenno...

Ancora oggi è quella l'unica vittoria del Chievo a Milano. A Mazzarri and company il compito di non dover riscrivere la statistica a questa voce.
Non dovrebbe essere un'impresa, ma la normalità delle cose, specie dopo le due bruttissime sconfitte di Roma e Udine.


Che Peppino ce la mandi buona...