martedì 28 gennaio 2014

Non c'è tensione, non c'è emozione: nessun dolore

Then take me disappearing
through the smoke rings of my mind
down the foggy ruins of time
far past the frozen leaves
the haunted frightened trees
out to the windy beach
far from the twisted reach
of crazy sorrow
(Bob Dylan)*



A volte mi rendo conto di come il calcio raffiguri, suo malgrado, una sorta di lancetta artificiale che scandisce il flusso temporale.
Ricordo molti anni fa mia cugina, coetanea di Bergomi, insultare il televisore quale metonimica incarnazione del telecronista, reo, all'ingresso dello Zio, di aver esclamato festante “Ecco il vecchio Bergomi”.
“Vecchio lo dici a tuo nonno, supergiovane dei miei stivali”.
In seguito avrei compreso come l'avvicendamento dei calciatori, delle “Giovani promesse” tramutate in “Usato sicuro”, si sarebbe affiancato alla percezione della mia stessa crescita.
Lungo gli avvallamenti della memoria i vari momenti della mia vita si congiungono a molteplici Inter: quella di Pellegrini è la mia infanzia, fiduciosa ed entusiasta, quella di Ronaldo i miei vent'anni colmi di promesse, quella di Mancini e di Mourinho il concludersi della giovinezza e l'approdo alla maturità.
Ho l'età per ricordarmi altre Inter, meno epiche di quelle appena nominate.
L'Inter dei fratelli Paganin e di Angelo Orlando, di Tramezzani e di Giovanni Bia, celebre per l'omonimia con la streghetta e la relativa sigla (BiEaaah – BiEEEE – BaBe, ecc. ecc.)
Oppure l'Inter del Centofanti idolo della Curva Nord e di Benny Carbone.
Squadre pasticcione e inadeguate impreziosite da inaspettati squarci di perizia, quali le feline parate di Pagliuca o le discese (ardite e le risalite) lungo la fascia di Roberto Carlos.
Inter sghembe e traboccanti di difetti, eppure emozionanti, nel bene e, purtroppo, nel male.


Ieri, osservando un'Inter arrancante con un Catania volonteroso e mediocre, ho sperimentato nel profondo il significato del temine “Atarassia”.
Se, da un punto di vista filosofico, “la perfetta pace dell’anima che nasce dalla liberazione delle passioni” può evocare uno stato di quieto benessere, dal punto di vista di una tifosa impegnata a seguire le gesta della sua squadra del cuore il concetto pone interrogativi critici nei riguardi della squadra stessa.
Una sparuta accozzaglia di pellegrini si aggirava per il campo, simile a un gruppetto di amici adunatisi per la partitella del giovedì. Zelanti, ma drammaticamente maldestri, senza passione, parevano ologrammi di giocatori: simulacri perfetti, ma freddi e vuoti.
Mai come in quel momento il Triplete mi è apparso distante come la scheggia di un satellite disperso nell'Universo.
Davanti a una squadra esanime è difficile appassionarsi e non si può chiedere ai tifosi di praticare un massaggio cardiaco a chi coscientemente pare aver deciso di smettere di respirare.
Per una di quelle bizzarre associazioni mentali mi sono scoperta a ripensare a una scena de “La Storia Infinita”.
Il film non necessita alcuna presentazione, soprattutto per chi, come me, ha più di trent'anni e magari lo vide al cinema.
Il Doc, interista di vecchia data, mesi fa scrisse un notevole post al riguardo (http://docmanhattan.blogspot.it/2013/07/la-storia-infinita-film-1984.html).
Il Nulla vorace che annienta paesaggi, persone e oggetti trasmutandoli e inglobandoli in niente, la Fantasia e la forza dell'Uno come resistenza e salvezza di tutti, “il mondo salvato dai ragazzini” fino all'ambiguo finale (Bastian, se per tutto il film hai ripetuto quanto ti manchi la mamma, perchè, una volta esortato ad esprimere un desiderio – QUALUNQUE desiderio –, tu chiedi semplicemente di effettuare un giro sul Fortunadrago?).
Era un'epoca in cui ai bambini venivano presentati temi e discorsi da adulti. Quegli stessi bambini, una volta cresciuti, sarebbero stati trattati da eterni infanti da una classe politica e imprenditoriale luttuosa e retriva.
Ma questa è un'altra storia (cit.)

Il momento della pellicola su cui mi sono soffermata è stato però l'approdo di Atreyu, l'eroe bambino, nelle paludi della Tristezza, così chiamate perchè la condizione primaria per poterle attraversare è il non abbandonarsi mai alla malinconia e alla disperazione.
Sentimenti che colgono invece Artax, il suo cavallo, il quale sarà mestamente condannato a sprofondare nelle sabbie mobili nonostante le esortazioni di un inerme Atreyu.
Alla figura di Artax si è bruscamente sovrapposta davanti ai miei occhi l'immagine dell'Inter di domenica. Angosciata, avvilita e annaspante dentro un guado in cui non si scorgono appigli.
Mentre noi tifosi non possiamo far altro che fissarla inebetiti, impossibilitati a fornirle soccorso.
Una volta lessi che l'unica modalità per uscire indenni dalle sabbie mobili sia il fingere di ritrovarsi sopra a una scala e salirla un gradino alla volta, evitando, per quanto possibile, di farsi invadere dal terrore.


Forse questa è l'unica via per “Uscire a riveder le stelle”.
Un gradino alla volta, consapevoli che a ogni caduta corrisponde una risalita, concentrandosi sull'unica cosa inottenibile con gli euro e il calciomercato, ma che per i tifosi rappresenta il bene più prezioso: il cuore.
Ricominciate a pompare palpitazioni in questa squadra inerte e anche noi tifosi recupereremo la passione.
Magari si tratterà di un'Inter arruffona e grossolana, ma sarà la “Nostra” Inter.
Quella che non scambieremmo per nessun'altra squadra al mondo, perchè solo Lei “Ci fa battere il cuore, ci fa smettere di respirare”.


* Quindi portami a scomparire / lungo gli anelli di fumo della mia mente
giù per le rovine nebbiose del tempo / lontano oltre le foglie gelate
gli stregati alberi spaventati / fuori sulla spiaggia ventosa
lontano dalla portata contorta / di un folle dolore

Nessun commento:

Posta un commento