giovedì 1 gennaio 2015

"El Negro Jefe" : avete mai sentito parlare del Maracanazo?

Erano anni e anni che volevo avere un blog per pubblicare questo mio racconto. Ora ce l'ho e quale migliore occasione per farlo se non agli albori del 2015? (si certo).
Una storia di 65 anni fa, ma sempre meravigliosa per chi ama questo sport nelle sue sfaccettature più epiche.

Chi è "El Negro Jefe"?

Non è un super eroe... quelli sono personaggi di fantasia.

Obdulio Jacinto Muiños Varela, appunto detto "El Negro Jefe", è un condottiero: è Leonida... è Ettore... è Achille... è mitologia prestata alla realtà.

Anno 1950, partita finale dei mondiali di calcio, siamo a Rio de Janeiro, Brasile, all'interno dello stadio Maracanà (nuovo di pacca, realizzato per l'occasione) 200.000 tifosi pazzi di gioia, di cui il 99,9% brasiliani... e circa un milione di tifosi brasiliani antistadio.

La partita è Brasile - Uruguay

Il Brasile ci arriva seppellendo gli avversari del girone finale: 7 gol alla Svezia... 6 alla Spagna.
L'Uruguay ci arriva con una vittoria di misura ed un pari tiratissimo.

Per vincere la prima edizione Rimet della coppa del mondo, ai carioca, padroni di casa, basta un pari.

Per gli uruguagi sembra non esserci scampo, il destino pare segnato...
I brasiliani, sicuri dell'esito, preparano addittura già medaglie ed orologi celebrativi e sono pronte una limousine a testa con il nome di ogni giocatore.
Loro hanno soprannomi eccezionali: "punta de lanza" Ademir… "o divino mestre" Zizinho… e poi ci sono Friaca… Chico… Jair.

I dirigenti uruguagi sono talmente condizionati dall’ambiente carioca da dire che una sconfitta, con non più di 2 reti di scarto, sarebbe già una vittoria

All'udire queste affermazioni, Varela, gli fa rimangiare le parole mandandoli letteralmente a quel paese… e dicendo che l’Uruguay in quella partita aveva un solo scopo, ed era quello di vincere.

Questo il contorno, poi c’è il campo... e qui inizia la leggenda de "El Negro Jefe".

Centrocampo, stretta di mano tra i Capitani, l’arbitro Reader lancia la monetina e Varela la prende al volo… guarda l’arbitro e dice: "Signor arbitro non si preoccupi, lasci pure scegliere loro... questa sarà la loro unica consolazione perché Noi saremo Campioni del Mondo".
Il capitano brasiliano Augusto se la ride... ma solo perché non ha capito ancora con chi ha a che fare.

Si perchè negli spogliatoi "Jefe" aveva già catechizzato i suoi a suo modo: al centravanti Miguez dice: "ma non lo vedi che faccia ha il loro portiere?... Vuoi farmi credere che ad uno cosi non puoi fare almeno 2 gol?"… A Gambetta (miglior difensore dalla squadra) dice che se solo Chico tocca la palla a fine gara se la sarebbe vista con Lui.... Poi guarda tutti gli altri, da Schiaffino a Ghiggia, ed esclama: "Questo vale per tutti, chi si tira indietro lo prendo a pugni".

E prima di entrare e posizionarsi in campo, uscendo dal tunnel, si gira verso i suoi dicendo di non guardare le tribune... perché la partita si giocava in campo, li sotto.

"Ahora vamos a jugar como hombres. Nunca miren a la tribuna. El partido se juega abajo. Ellos son once y nosotros también. Este partido se gana con los huevos en la punta de los botines" (Varela)

Si comincia, il Brasile come prevedibile attacca a testa bassa... i suoi giocatori giocano pensando che in campo siano da soli.

Joao Ferreira "Bigode", difensore brasiliano, continua a mandare in terra Ghiggia per non farlo ripartire, anche con interventi molto duri. Varela guarda il compagno e lo fulmina, non ha bisogno nemmeno di parlare... Da quel momento tra Bigode e Ghiggia comincia un duello senza esclusione di colpi "bassi".

Zizinho, l'artista, punta "el mono" Gambetta, lo ubriaca di finte irridendolo e facendogli fare una pessima figura. Capitan Varela si avvicina al compagno mostradogli i pugni ed urlando...
Nell’azione successiva Gambetta manda letteralmente all’aria Zizinho... ed avvicinandosi gentilmente, come se volesse aiutarlo ad alzarsi, gli sussurra "la proxima vez te mato"...
Zizinho non avrà più la forza mentale di puntare Gambetta, per tutta la partita.

"Un giocatore cosi pauroso non può essere campione del mondo" (Varela)

Contro ogni pronostico gi uruguagi tengono, ed il primo vero pericolo del primo tempo è loro, con un clamoroso tiro di Miguez che si schianta sul palo, al termine di una azione di contropiede.

Questo segnale sarà fatalmente sottovalutato dai brasiliani e dopo un salvataggio miracoloso di Gambetta sulla linea di porta, incredibilmente il primo tempo si chiude sullo 0 a 0.

Rientrati negli spogliatoi "El Jefe" non è affatto contento dell’attegiamento dei suoi, soprattutto di quelli che devono fare la differenza... e non ci mette molto a dimostrarlo.

Come poteva convincere i suoi a dare tutto? Ovviamente dando l'esempio con il giocatore più rappresentativo... la stella.
Allora prende per il bavero Schiaffino (si proprio quello) e lo appende alla parete dello spogliatoio, gli rifila due sonori ceffoni e gli dice che se lui avesse continuato a fare la "signorina" la sua squadra non avrebbe mai vinto.

Si torna in campo e apparentemente la mossa non sembra servire... passano 120 secondi e Friaca porta in vantaggio il Brasile.

E’ delirio puro. I 200 mila sugli spalti fanno tremare la terra... un unico - boato - assordante… uno tsunami che avrebbe travolto qualsiasi cosa... una folgore che attraversa da capo a piedi i giocatori uruguagi.

Tutto sembrava presagire, come da pronostico, la solenne disfatta uruguagia.

E qui entrano in azione i "Cocones de Hierro", l' astuzia e l'esperienza di Obdulio Varela.
Va a prendere la palla in rete, se la mette sotto braccio... e per portarla a centrocampo ci impiega più di 3 minuti... fingendo proteste, chiamando un interprete, fermandosi a legare la scarpa.

Tutto questo aveva un solo scopo: quello di arginare come una immensa diga lo slancio emotivo dei brasiliani in campo e sugli spalti, che li avrebbe di sicuro travolti.
Ed invece quel capitano genio e pazzo riesce a stemperare l’ambiente, sbigottisce il pubblico che lo insulta, fa rifiatare i suoi ed innervosisce a livelli incredibili gli avversari che hanno l'esigenza di stravincere, di seppellirli di goal.

Ma la sua strategia psicologica non è finita...

Arrivato con comodo a centrocampo, posa la palla al centro, guarda l'immenso pubblico, sfidandolo... poi guarda i giocatori brasiliani schierati e dice: "Vinciamo Noi"

I brasiliani, sfidati, si inferociscono... e riprendono ad attaccare come pazzi, cadendo nella sua trappola mentale.

Passano venti minuti, contrasto duro a centrocampo, l’arbitro inglese fa proseguire, il Brasile è tutto sbilanciato... Varela prende palla e lancia Ghiggia che brucia Bigode… va sul fondo, mette la palla al centro... c'è Schiaffino (proprio lui) incredibilmente solo... controlla - destro - rete... 1 a 1.

Un brivido glaciale attraversa il Brasile, squadra.
In un altro momento, un altra partita, un altro luogo, non ci sarebbe stato nessun problema... il pari bastava... ma non in quel momento, non in quella partita, non in quel luogo.
I carioca non possono sopportare quel risultato dopo tutti i proclami fatti, si sentono derisi… ed allora ripartono a testa bassa azzerando ogni tatticismo ed andando esattamente incontro a quello che voleva Varela.

Minuto 79, minuto che segnerà la storia, non solo calcistica, di una nazione.

Forcing brasiliano e Ghiggia, ancora lui, parte palla al piede come una scheggia, arriva quasi sul fondo. Bigode, distrutto dal suo avversario nel secondo tempo, per paura di essere saltato, và in chiusura senza affondare… Barbosa, il portiere, memore del primo gol, commette un errore fatale, si sposta per anticipare il cross verso Schiaffino... E lui: Alcides Edgardo Ghiggia, lo fulmina con un tiro sul primo palo.

"Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanà: Frank Sinatra, il Papa ed io" (Ghiggia)

Ed è una affermazione riduttiva, si perché il Maracanà non solo zittisce, ma precipita in piena disperazione... che da li a 10 minuti si trasformerà in tragedia.

L'Uruguay è in vantaggio e Capitan Varela, ottenuto quello che voleva, come un ossesso urla ed incita i suoi di non mollare un centimetro. Si dice che le urla si sentirono addirittura fuori dallo stadio.
Si gioca ad una porta sola e come se non bastasse, Maspoli, il portiere, compie parate miracolose a ripetizione.

L'arbitro Reader fischia la fine... l’Uruguay di Varela è, incredibilmente, campione del Mondo.

L’imbarazzo fu tale (per una decina di minuti sparì addirittura la coppa) che Rimet venne abbandonato da solo in campo, a consegnare la coppa a Varela... e non ci fu cerimoniale.

"Mi ritrovai solo, con la coppa fra le braccia, senza sapere che cosa fare», racconterà in seguito. «Alla fine scorsi il capitano uruguagio e gliela consegnai quasi di nascosto. Gli strinsi la mano senza dire una parola" (Rimet)

Il gigantesco sambodromo di Rio si era trasformato in un gigantesco lutto.

Non si contano gli attacchi di cuore sugli spalti del Maracanà.
Il Brasile paese fu sconvolto, funestato da suicidi per la disperazione. Le ambulanze andarono in giro per tutta notte.
L'afflizione raggiunse livelli inarrivabili, insopportabili.
Al punto che quel giorno, 16 luglio 1950, sarà ricordato per sempre con due nomi: "Maracanazo" e "Nunca mais" (Mai più).

Barbosa (il portiere) sarà condannato a non frequentare mai più l’ambiente calcistico brasiliano a tutti i livelli.

"Da noi, la pena più severa per un crimine è trent’anni di galera. Io da quarantatré anni pago per un crimine che non ho commesso" (Barbosa)

La nazionale Brasiliana non avrà più tra i pali un portiere di colore fino ai giorni nostri (Dida).
La maglia bianca sarà maledetta e da allora si passerà a quella con i colori del paese (Verde e Oro).

Dentro la tragedia, un uomo, "El Negro Jefe"... che rimarrà in Brasile a Rio quella notte, al contrario di molti suoi compagni. Rimase a Rio con il massaggiatore, girando per i bar, assieme agli sconfitti, ed incredibilmente consolandoli. Si perchè si renderà conto di quello che è successo, della tragedia immane scatenata. Al punto che festeggerà con il cuore a pezzi per quello che vide.

"Non mi piacque vedere 200.000 persone tristi, non mi piacque vedere Rio cupa e senza carnevale. Ero campione del mondo ma non sentivo la piena felicità per la cosa. Chi non c'era non potra mai capire" (Varela).

"Il proprietario del bar si è avvicinato a noi insieme ad un tizio grande e grosso che piangeva. Gli ha detto: - Lo sa chi è questo qui? E’ Obdulio - . Io ho pensato che il tizio mi avrebbe ammazzato. Ma mi ha guardato, mi ha abbracciato e ha continuato a piangere. Subito dopo mi ha detto: - Obdulio, accetta di venire a bere un bicchiere con noi? Vogliamo dimenticare, capisce? - Come potevo dirgli di no? Abbiamo passato tutta la notte a sbevazzare da un bar all’altro" (Varela)

Come spesso succede, nelle grandi vittorie ci sono grandi sciacalli, molto spesso sempre gli stessi.

La federazione uruguagia si prese tutti i meriti e si intasco tutti i premi. 

"Se dovessi giocare di nuovo quella partita, mi segnerei un gol contro. L'unica cosa che abbiamo ottenuto vincendo il titolo è stato di far felici i dirigenti della Federazione uruguaiana che si fecero consegnare le medaglie d'oro e a noi giocatori ne diedero altre d'argento. Questo è stato il riconoscimento". Disse anni dopo Varela.

Al di la di questo... Obdulio Varela fu davvero un autentico condottiero uruguaiano e le statistiche sono li a confermarlo: con lui in campo l’Uruguay non ha mai perso nemmeno una gara.

Questo è un capitolo di storia del calcio che incorona uno dei suoi personaggi.
Memorabile interprete di quelli che sono valori che vanno al di la del semplice sport.

Questo è un capitolo, probabilmente il più importante, della storia calcistica di Obdulio "El Negro Jefe" Varela.

 "Non prendiamoci in giro: l'avessimo giocata cento volte, una sola l'avremmo vinta: questa. Il calcio migliore lo giocano sempre i brasiliani". (Varela)



"Con la Celeste en el pecho somos doble hombres"

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