martedì 4 febbraio 2014

90

No, 90 non fa riferimento ad una ben nota posizione sessuale, piacevole o meno, a seconda dei punti di vista e dei momenti.

Il 90 è, nella famosa smorfia napoletana, la paura.

Se scendi in campo con la paura di non riuscire a fare quello che puoi, di sbagliare, di non giocartela alla pari, di prenderne il meno possibile... parti con un svantaggio mentale difficilmente colmabile.

L'Inter degli ultimi mesi scende in campo con questo piglio.
La paura.
Ed è anomalo. Si perchè io quest'anno ho visto delle buonissime gare, su tutte, paradossalmente, quelle con Roma e Napoli. Due sconfitte è vero, ma all'interno di una impostazione mentale e tattica (non inteso come schema ma come propensione) degnissime e da prendere come basi per costruirci, migliorare ed arrivare a qualcosa di buono.

Ed invece no. A suon di devastanti critiche dello stesso suo artefice, su quel tipo di impostazione e sui suoi interpreti, si è arrivati ad avere paura. Si è creata una distanza tra gruppo e tecnico.
E parallelamente alla paura, ovviamente, si è alimentato un clima di sfiducia su quello che si fa in campo e quindi il gioco ne ha risentito ed è scomparso. In campo si è contratti, non svogliati... L'approcio alle gare, tutte, è intorpidito, c'è timore a fare un passaggio che non ti aspetti, una giocata, di essere fuori posizione perchè il tuo compagno non è un aiuto ma solo uno che è in campo con te ed è impegnato a pensare per non fare cazzate in modo da uscirne salvo. Non c'è spirito di squadra, non c'è gruppo... e quindi si sbaglia il doppio. Non c'è nessun tipo di cambio di ritmo nelle gare sulla carta "facili" e c'è solo un minimo di reazione scomposta e di orgoglio, in quelle dove si stanno prendendo sonori calci in culo.

Tutto questo non può dipendere dal livello qualitativo degli interpreti.
Certo, i campioni fanno la differenza, ma non sono loro lo stimolo a scendere in campo da squadra, a scendere in campo convinti, fiduciosi in quello per cui si è sudato negli allenamenti e non rassegnati, invece, a cercare di fare meno peggio possibile. Il gioco può essere carente qualitativamente, ma non può esserlo agonisticamente e tatticamente.

Uscire da una situazione del genere a questo punto della stagione è complesso ma bisogna provarci.
Non è un obbligo, E' un dovere.
Bisogna provarci abbandonando, in tutti i sensi, questo spirito pavido e di scarico di resposabilità. Abbandonando un attegiamento di remissione, di timore: senza crescita, senza ambizioni, senza obbiettivi... di puro passaggio: perchè la dignità è un obbiettivo astratto ma fondamentale.

Chi pensa di potersela cavare scendendo in campo ed aspettando che tutto finisca, non è degno di indossare la maglia dell'Inter.

E chi pensa di potersela cavare addossando ogni responsabilità a qualcun'altro e qualcos'altro, dopo che altrettando scaltramente si era preso e pavoneggiato di meriti per un effimero e ben augurante momento iniziale... si sbaglia due volte. Perde due volte. Ed è il primo artefice della paura che si vede in campo, perchè è il riflesso della sua indole. Provi a porvi rimedio.





Amala, ubicumque et semper.

- Charms -

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